Una storia che merita di essere raccontata
per conservarne il ricordo in maniera indelebile
La Masseria, dapprima denominata “Porcari della Corte”, apparteneva ad una famosa famiglia nobile napoletana, i Caracciolo del Sole. Francesco Caracciolo, patrizio napoletano, sposò il 14 marzo 1670 Costanza, figlia di Gianbattista Moles Barone di Turi. I figli Gaetano e Troiano, l’uno primo Duca di Venosa e l’altro Vescovo di Nola, ereditarono la masseria che trasferirono il 15 Marzo 1710 a Don Vito Petrelli, Arciprete della Chiesa di Turi. Questi acquistò la proprietà di 340 vignali (140 ha) con atto notarile stipulato dal Notaio Azzolini. Inoltre, fece sue una parte di terre della Masseria denominate “Parco di Suso” con una estensione terriera di 85.5 vignali (circa 34 ha), assegnate come dote di una Cappellania fondata da Gianbattista Moles, avo materno di Gaetano e Troiano Caracciolo, con l’obbligo di sei Messe alla settimana e con la richiesta di donare un carlino (circa mezzo ducato) all’altare di S. Maria di Terra Rossa, sito nella Chiesa di Turi. Il 10 settembre del 1716 Don Vito volle concedere alla Congregazione del Santissimo Sacramento tutta la Masseria a condizione che, come esplicitamente dichiarato nel testamento, la rendita fosse utilizzata anche per la celebrazione di Messe a beneficio delle anime del Purgatorio. In questo periodo la masseria venne anche denominata “Il Santissimo”
Nel 1741, dopo il Concordato tra Stato Borbonico e Chiesa, l’amministrazione e il controllo della Congregazione del Sacramento vennero affidate ad un tribunale misto, in quanto divennero un’opera mista di culto e beneficenza. Nel decennio francese, nel Regno di Napoli fu attuata l’eversione delle terre della Chiesa con l’intento di ridistribuire i beni immobili. Ma i beni dello stato vennero venduti ai creditori mediante la Cassa di Ammortizzazione al fine di abbassare il debito pubblico nascente dal pagamento degli interessi dovuti ai possessori di cedole che avevano preferito all’acquisto dei beni dello Stato l’iscrizione nel gran libro.
In questo contesto storico e precisamente l’8 febbraio 1821, la Masseria viene acquistata definitivamente, mediante sub-aste, da Bartolomeo Franchini, Consigliere dell’Intedendenza della Terra di Bari, con la rendita annua di 739,40 ducati inscritta nel Gran Libro del debito pubblico. Nell’atto di compravendita, nei beni della Masseria, è citata una “casa rustica con lamione, pozzo e cortile” che, a ragion veduta, potrebbe riferirsi ad una parte dell’attuale immobile.
Dopo pochi anni dall’acquisto, a partire dal 1828, il signor Bartolomeo Franchini ristrutturò l’esistente e lo ampliò su progetto del Capitano del Genio Don Matteo Parente.
La famiglia Franchini fu proprietaria della masseria fino al 26 aprile 1897, quando Alfredo trasferì, con atto notarile del Dott. Morea, la masseria al Cavaliere del Lavoro Saverio De Bellis, definito il “padre dell’industria pugliese”.
Il 19 giugno 2008 la famiglia Valentini di Locorotondo acquista la masseria ed inizia le opere di restauro e ristrutturazione nel settembre del 2009. In meno di tre anni la pietra riprende a vivere e “mani forti e laboriose, vissute di fatica e di esperienza creano e modellano con estro e fantasia, talento, abilità ed entusiasmo un’opera che oggi mostra la sua unicità”.
Oggi, quella masseria che per centinaia di anni ha rappresentato un luogo di culto, continua a regalare gioia alle persone che ne calpestano il suolo, ma con una nuova veste e sotto l’attenta gestione di professionisti che hanno saputo trasformare un posto di per sé splendido, in qualcosa di unico.